sabato 26 luglio 2014

CONSERVATORI O PROGRESSISTI ?


Conservatori o progressisti?


Questa è una nota che ho scritto nel 2005, prima dell’avvento nuovista di Renzi, ma credo sia ancora di attualità:

“ Uno dei tratti fondamentali dell’atteggiamento dei conservatori è il timore del cambiamento… diversamente dal liberalismo, caratterizzato dalla fondamentale credenza nel potere a lungo termine delle idee, il conservatorismo è vincolato dal bagaglio di idee ereditato in un dato momento.” con queste parole Friedrich August von Hayek  nel suo scritto “ Perché non sono conservatore” ci sottolinea come il conservatorismo è, per sua natura, ostile ai cambiamenti, teme le novità, combatte le idee nuove e, ne consegue che   il liberale non può essere conservatore, e pensare che von Hayek è visto come uno dei maitres a penser dei conservatori di tutto il mondo.E’ naturale, seguendo il ragionamento di Hayek, pensare che la discriminante reale oggi sia tra liberalismo e conservatorismo piuttosto che tra destra e sinistra, sostanzialmente fra innovatori e coloro che sono legati a rendite di posizione e che non accettano nemmeno la gattopardesca maniera “che tutto cambi affinché non cambi nulla”.Ossia il confine passa fra innovatori e chi, al contrario, vuole restare all’esistente.Attenzione, liberalismo non va assolutamente confuso con liberismo, infatti, dietro il primo, alloggiano idee e la forza della discussione e del confronto dentro e con la comunità, mentre dietro il secondo, sempre  più spesso, troviamo interessi di basso livello decisamente in contrasto con la comunità e sempre contro i suoi interessi, insomma una logica di posizione e non una logica sociale Forse questo può essere il punto da cui partire per reinterpretare la politica, farla uscire da schemi di bassa lega e riportarla alla sua alta essenza, cioè a ritornare ad essere laboratorio permanente di trasformazione sociale.

Purtroppo negli ultimi anni si è trasmesso un morbo contagioso, sia a destra quanto al centro e, lo dico col cuore spezzato, a sinistra, un morbo dicevo che ha generato una subcultura della paura e il rifiuto totale per il nuovo.Questo morbo ha generato la logica del “ rimaniamo quello che siamo”, ha voluto offrire  valenza “positiva” al detto che chi non fa non sbaglia.
Certamente appare più facile arroccarsi sul presente, senza progettare il domani, anche rischiando tentativi, errori, fallimenti e magari….successi.Ma occorre domandarci sino a quanto l’esistente riuscirà a garantirci il futuro.In un mondo dove la globalizzazione è una realtà con la quale fare i conti, dove le distanze informative tendono giorno dopo giorno a scomparire, dove la comunicazione spesso è più veloce della notizia stessa, dove la concorrenza non è più una gara tra imprese m una lotta devastante tra sistemi-paese ecco che diventa sempre più complicato governare, a tutti i livelli, dal grande stato al piccolo comune.Noi non possiamo pensare di governare, progettare la società, e questo è il compito della politica, guardando solo al passato perché non si ha il coraggio di cambiare.La Storia ha un ruolo determinante nella logica di sviluppo della politica, dobbiamo ridare ad essa il ruolo che le spetta, cioè quello di essere  maestra di vita, il grande serbatoio di carburante ideale al quale attingere per continuare la strada dello sviluppo e del progresso, serbatoio che, se non guardiamo, senza timori e remore avanti non sarà più arricchito e, una volta esaurito, non permetterà più a noi ne, e questo sarebbe un delitto gravissimo, alle generazioni future di continuare ad avere una vita degna di essere chiamata tale. L’obiettivo di tutti noi è quello di lasciare alle generazioni future un mondo più ricco di idee, di cultura, un mondo fatto di mescolamenti e non di isolamenti.Il superare gli sbarramenti ideologici non vuol dire rinunciare ai principi fondamentali delle nostre convinzioni politiche, ma significa usare le idee per ricercare quello che ci accomuna e cominciare la costruzione di una società più vivibile da questo, senza usare le ideologie come scudo per non interagire, come trincea per difendere solo l’attuale senza pensare a quello che è già presente, il futuro, ma, al contrario, mettere a disposizione le idee come momento di apertura verso l’altro da noi, per confrontarsi e non scontrarsi, per cambiare, se è giusto e aiutare a cambiare.Una domanda diventa quasi spontanea, “cosa può fare l’uomo della strada per contribuire al cambiamento?”, provo a dare una risposta molto soggettiva: abbandonare le certezze, farsi forza dei dubbi, avere la consapevolezza che sarà un percorso senza fine, dove, come nella leggenda di Serendipity,  quello che troviamo lungo il cammino è importante tanto quanto quello che andiamo cercando,   che il tutto contribuisce ad arricchire il nostro sapere e il nostro vivere, e del tutto occorre fare tesoro, perché rappresenta l’eredità da lasciare a chi verrà dopo di noi.D’altronde è fondamentale tener sempre presente che lo status quo può rappresentare un incubo, il cambiamento invece l’incognita, ma come scrivevano i Situazionisti “ è meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine”.

angelo”ciccio”delsanto   

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